La censura a
Michele Santoro
Michele Santoro è il giornalista che negli anni ’80 con Samarcanda applica all’approfondimento informativo la formula del talk show, portando lo share medio di Rai3 dal 2% al 15%. Addirittura la Bbc si ispirerà a Santoro nella creazione di alcuni formati.
A partire dal 1999 Santoro è in Rai con contratto a tempo indeterminato, che lo impegna a realizzare e condurre “programmi televisivi di approfondimento dell’informazione di attualità in prima serata e di reportage in seconda serata, con cadenza settimanale, inseriti nei palinsesti di Rai1 da settembre a maggio”. A Santoro viene dunque affidato l’approfondimento informativo della principale rete Rai. Ma già a partire dal 2000 Santoro viene dirottato su Rai2 con Il raggio verde e Sciuscià, mentre l’approfondimento informativo di Rai1 viene affidato a Bruno Vespa con il suo Porta a Porta, trasmesso in seconda serata dal lunedì al giovedì.
I programmi di Santoro registrano ascolti molto alti, intorno al 23% di share. E i suoi guai incominciano presto. Si occupa spesso di Berlusconi, per via dei suoi presunti rapporti con ambienti mafiosi, tenuti anche attraverso il suo braccio destro Marcello Dell’Utri, denunciati addirittura in una intervista resa dal giudice Borsellino, poco prima di essere ucciso, trasmessa nel 2000 da Rainews24; nonché per i vari processi in cui il futuro premier è imputato e per il conflitto di interessi. Santoro viene accusato di “faziosità” nella conduzione dei programmi, pur rispettando la parità di trattamento dei soggetti politici invitati. Berlusconi ricorre ripetutamente all’Authority, che spesso gli dà ragione ordinando alla Rai la messa in onda di “puntate riparatorie”, con prevalente partecipazione di politici del centrodestra. Ma rifiuta sistematicamente gli inviti di Santoro ad un contraddittorio sulle questioni che lo riguardano.
Nell’estate del 2002, con Berlusconi capo del Governo, i nuovi vertici Rai, memori dell’“editto bulgaro”, decretano la chiusura di Sciuscià, che viene sostituito da Excalibur, condotto da Antonio Socci, i cui ascolti saranno così bassi da indurre gli stessi vertici Rai a chiudere il programma. Intanto Santoro viene colpito da una serie di provvedimenti disciplinari, le cui motivazioni vanno dalle modalità di conduzione dei suoi programmi alle dichiarazioni pubbliche rilasciate sulla censura politica di cui si ritiene vittima; e rifiuta l’offerta di condurre un documentario di cinque puntate sul bandito Giuliano.
Come per Biagi, si fa avanti Rai3 offrendo uno spazio a Santoro. Il direttore generale Saccà si oppone adducendo – anche qui – motivi di bilancio. E quando Rai3 garantisce che non vi saranno aumenti di budget, il direttore generale Saccà parla genericamente di “incompatibilità” tra l’azienda e il conduttore.
Santoro allora si rivolge con ricorso d’urgenza al Tribunale di Roma, perché gli riconosca il diritto a condurre programmi di approfondimento informativo secondo quanto stabilito dal suo contratto. Il Tribunale di Roma gli dà ragione, affermando che la Rai deve adibire Santoro a “realizzatore e conduttore di programmi televisivi di approfondimento dell’informazione su temi di stretta attualità seguiti da un vasto pubblico” come da contratto (9 dicembre 2002).
I vertici Rai offrono a Santoro la fascia oraria tra le 16 e le 18 del sabato pomeriggio, per condurre 8 puntate di 90 minuti ciascuna, nonché un programma di 16 puntate di 20 minuti ciascuna da condurre il sabato o la domenica notte dopo l’una. Santoro ricorre nuovamente in Tribunale, che giudica l’offerta inaccettabile perché “peggiorativa delle mansioni affidate a Santoro”, e specifica che al conduttore deve essere affidata “la realizzazione e la conduzione di un programma di approfondimento giornalistico sull’informazione di attualità” in una fascia oraria con un ascolto “non inferiore a quello proprio della fascia oraria in cui era collocato il programma Sciuscià”, di durata equivalente “a quella dei programmi realizzati in precedenza dal ricorrente”, con dotazione di “risorse idonee ad assicurare la buona riuscita del programma” (3 giugno 2003).
Ma la Rai reagisce alla sentenza affermando, per bocca dei consiglieri Cdl, che “il giudice non può decidere i palinsesti”. Si limita ad offrire a Santoro un programma di diverse puntate su temi sociali, che dovrà essere interamente registrato; e i contenuti del programma, nonché le persone da intervistare e persino le spese, dovranno essere sottoposte al preventivo vaglio della Rai. Santoro rifiuta. Persa ogni speranza, nel giugno 2004 si candida alle elezioni europee e saluta la Rai diventando eurodeputato.
E il 26 gennaio 2005 il Tribunale di Roma, definendo il contenzioso in via ordinaria, afferma che Santoro “deve essere reintegrato nella sua attività di realizzatore e conduttore di programmi televisivi di approfondimento dell’informazione di attualità di prima serata e di programmi di reportage di seconda serata”. In pratica, il Tribunale ordina alla Rai di ricollocare Santoro nella posizione contrattuale che gli aveva garantito fin dal 1999 con la stipula del contratto.
Anche nel caso di Santoro i vertici Rai hanno puntato alla mortificazione del giornalista, offrendogli la conduzione di programmi che inevitabilmente lo avrebbero messo in un angolo. Il tutto è aggravato dal fatto che l’Authority ha fornito il suo contributo, affermando più volte che la conduzione di Santoro non rispettava il requisito dell’imparzialità.
Qui il concetto di imparzialità risulta travisato. Non viene meno ai doveri di imparzialità il giornalista che tratta questioni che imbarazzano gli esponenti di una forza politica, se i fatti sono veri e di interesse pubblico. Quanto al requisito della continenza formale, nei programmi di approfondimento informativo va valutato in maniera elastica. Non è la stessa continenza formale su cui deve basarsi la diffusione della notizia. L’approfondimento informativo presuppone l’esistenza di una notizia e si basa sul contraddittorio, di cui è parte il conduttore stesso. Ed è chiaro che se si impone al conduttore di un programma di approfondimento informativo la stessa continenza formale che si esige dal conduttore di un telegiornale (che per principio non approfondisce nulla, non partecipa ad un contraddittorio, ma si limita a diffondere una notizia) diventa fin troppo facile accusarlo di essere fazioso.
Nel caso di Santoro la censura è stata ancora più scoperta di quella inflitta a Biagi, probabilmente a causa della asprezza dei toni che hanno accompagnato l’intera vicenda. Come a Biagi, anche a Santoro hanno offerto spazi inaccettabili, in modo da presentare all’opinione pubblica il censurato come inadempiente. E nel caso di Santoro, quando questi ha denunciato la manovra tesa ad imbavagliare l’informazione che i suoi programmi garantivano, ambienti legali vicini alla Rai hanno ventilato la possibilità di licenziarlo per violazione dell’obbligo di fedeltà.
L’obbligo di fedeltà del lavoratore verso il datore di lavoro è previsto dall’art. 2105 del codice civile. La norma stabilisce che “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. Probabilmente la violazione addotta dai vertici Rai è quella contemplata nell’ultima parte della norma: denunciando la censura politica, Santoro avrebbe recato pregiudizio alla Rai.
In realtà, l’argomentazione è errata, perché non tiene minimamente conto del diritto di critica sindacale, riconosciuto al lavoratore a tutela della propria posizione contrattuale (sulla cui problematica si veda LA CRITICA SINDACALE). L’esercizio del diritto di critica sindacale, essendo tutelato dall’art. 21 Cost., non può mai risolversi nella violazione dell’obbligo di fedeltà. Se si seguisse il ragionamento della Rai, qualsiasi denuncia fatta agli organi di informazione a fini sindacali legittimerebbe il licenziamento per violazione dell’obbligo di fedeltà del lavoratore. E qui il diritto di critica è stato legittimamente esercitato in un contesto pubblico, data la notorietà dei soggetti coinvolti e l’importanza delle questioni trattate.
Inoltre, è singolare che a Santoro sia stata addebitata la divulgazione di notizie in pregiudizio della Rai, quando fin dall’inizio è stata (anche) la Rai ad attaccare pubblicamente lo stile di conduzione di Santoro, chiudendo Sciuscià e comminandogli numerose sanzioni disciplinari. In altre parole, l’art. 2105 del codice civile è inapplicabile al caso in questione, perché il lavoratore Santoro non ha divulgato o fatto uso delle “notizie” di cui parla l’art. 2105 del codice civile, ma si è limitato a partecipare, in chiave difensiva, ad un conflitto già ampiamente denunciato dal datore di lavoro Rai.
La volontà esclusivamente censoria nel caso in questione si desume soprattutto dal fatto che i vertici Rai non hanno voluto ottemperare nemmeno agli ordini del Tribunale, che imponevano la reintegrazione di Santoro nelle mansioni affidategli per contratto. Ciò in quanto evidentemente hanno dovuto cedere a pressioni esterne. Sotto questo aspetto il comportamento dei vertici Rai è molto grave, come sono gravi le dichiarazioni di alcuni consiglieri Rai, che in occasione delle sentenze hanno affermato che “il giudice non può decidere i palinsesti”, manifestando così le loro reali intenzioni.
In realtà, qui il giudice non ha deciso nessun palinsesto. Si è semplicemente limitato a ristabilire, come prescrive la legge, l’equilibrio contrattuale che i vertici Rai avevano alterato, imponendo il rispetto della clausola contrattuale che testualmente affida a Santoro “la realizzazione e la conduzione di programmi televisivi di approfondimento dell’informazione di attualità in prima serata e di reportage in seconda serata, con cadenza settimanale, inseriti nei palinsesti di Rai1 da settembre a maggio” e che individua l’oggetto della prestazione lavorativa di Santoro. Tra l’altro, secondo il contratto Santoro avrebbe dovuto essere collocato addirittura nella fascia serale di Rai1, ceduta invece a Bruno Vespa dal lunedi al giovedi con Porta a Porta.